Stefania (ogni riferimento che può rendere la persona riconoscibile è stato eliminato) è una donna di 45 anni, che lavora come infermiera presso un grande ospedale. E’ sposata e ha due figli che frequentano le scuole elementari.
Da un pò di tempo dice di non amare più il proprio lavoro. Soprattutto dice di non riuscire più a sopportare i pazienti e le loro richieste di aiuto. Per non parlare poi dei familiari: “si lamentano sempre, hanno sempre da dire e non sono mai contenti. Quando noi infermieri lavoriamo bene, neanche un grazie, ma quando succede qualcosa, anche piccole cose, apriti cielo!”.
Ogni paziente nuovo le sembra quasi un nemico da combattere, un ostacolo che si frappone tra l’inizio e la fine della giornata. La rabbia verso i degenti sembra crescere giorno dopo giorno e l’unico modo per difendersi per Stefania è quello di trattarli con freddezza e distacco, come se fossero delle cose e non delle persone.
La stanchezza avverita nell’andare al lavoro è quacosa di enorme, di insuperabile. Quando la sveglia suona e lei si costringe ad alzarsi da letto pensa: “oddio, mi aspetta un altro turno da incubo”.
In famiglia le tensioni cominciano ad avvertirsi: Stefania è facilmente irritabile, con il marito e con i figli basta un nonnulla per farla esplodere.
E lei si chiede: “perchè mi comporto così? Che razza di persona sono? Tratto male tutti: i miei pazienti, i miei familiari…cosa mi sta succedendo?”
Il senso di frustrazione e la scontentezza sono notevoli e ai colleghi e a chi la conosce bene non sembra più la stessa persona che, fino a pochi anni prima, doceva di amare il proprio lavoro e, anzi, era tra le infermiere più brave e più attente.
Ma cosa sta succedendo a Stefania? Come fare per migliorare la situazione?
Sembra proprio che Stefania stia vivendo una condizione di burnout.
Ma vediamo in cosa consiste e cos’è il burnout. Si tratta di una sindrome caratterizzata in primis da esaurimento emotivo: chi ne viene colpito si sente stanco, sfinito e svuotato delle proprie energie emotive. Le uniche emozioni sperimentate sono di tipo negativo, ad esempio ansia, rabbia, tristezza ecc.
Il secondo aspetto che caratterizza il burnout è la depersonalizzazione: chi lo sperimenta, per tentare di difendersi dallo stress causato dal rapporto con l’altro, tende a trattare il destinatario del suo lavoro come se fosse una cosa e non una persona. A volte può arrivare a detestare i propri “assistiti” e a trattarli male.
Il terzo ed ultimo aspetto è la ridotta soddisfazione personale e professionale: si prova senso di colpa per il modo in cui ci si comporta con i propri pazienti, ci si sente diventati delle persone spregevoli e ci si condanna per questo.
Quali sono le cause del burnout?
Erroneamente si pensa che la “colpa” sia dell’assistito oppure dell’infermiere (ma il burnout potrebbe colpire anche medici, psicologi, ausiliari, e, in generale tutti coloro che lavorano a contatto con persone in situazione di bisogno e/o sofferenza) sottovalutando l’importanza degli elementi situazionali come ad esempio la focalizzazione sui problemi: gli operatori in contatto con persone in difficoltà spesso si concentrano sui lati negativi, sulle mancanze degli altri e non sui loro punti di forza. In questo modo finiscono per vivere una giornata lavorativa “piena di problemi” con conseguente preoccupazione e stress emotivo.
Un altro fattore situazionale che può pesare ed avere un ruolo nell’insorgenza del burnout è la mancanza di feedback (risposta) positivo che talvolta si verifica da parte dei pazienti di un ospedale e dei loro familiari: essi possono infatti trascurare di ringraziare o lodare l’operatore quando svolge bene il suo lavoro ma non mancheranno di fargli notare suoi eventuali errori. Inoltre se le persone da curare dimostrano di non cambiare nel tempo si è portati a vederle in termini negativi e ad esempio a pensare che forse sono loro che non vogliono guarire o che non è giusto che proprio a noi sia toccato quel reparto, quella stanza o quel particolare paziente. Un altro fattore che può essere rilevante nell’insorgenza del burnout è dover fare troppo e troppo presto: dover a tutti i costi “lavorare molto” in questo settore lavorativo causa stress e visione negativa dell’altro. Inoltre pesano nella possibile genesi della sindrome anche i rapporti con colleghi e superiori, che, se buoni, possono essere un fattore di protezione per gli operatori dell’assistenza, ma in caso contrario possono determinare un peggioramento della capacità di gestire lo stress e quindi favorire il manifestarsi del burnout.
Diciamo subito che affrontare una situazione di burnout non è semplice, e che è opportuno mettere in pratica differenti strategie.
Una prima mossa che è importante tentare è cercare di fare la stessa cosa in un modo differente. Chi svolge un lavoro impegnativo che da anni si ripete però secondo le stesse modalità può introdurre, se possibile, dei cambiamenti, anche piccoli, nella propria routine lavorativa. Questo serve a far riprendere un senso di padronanza rispetto a ciò che si fa e può contribuire a migliorare lo stato d’animo.
Un secondo step potrebbe essere quello di fare, sempre se possibile, delle pause mentre si lavora. Esse dovrebbero essere inoltre gestite “bene”. Quante volte alle macchinette del caffè si sentono colleghi che parlano..ancora di lavoro??
Un terzo aspetto, non meno importante degli altri, è coltivare una vita soddisfacente al di fuori del lavoro. Più il lavoro è impegnativo, e sicuramente quello di Stefania lo è, più è importante quello che si fa oltre.
Se non coltivo amicizie, lascio che i miei rapporti affettivi vadano alla deriva quali “stampelle” avrò dopo un’estenuante giornata di lavoro?
Un’ altra carta importantissima, utile per prevenire e anche per gestire il burnout è instaurare e mantenere nel tempo dei buoni rapporti con i colleghi. Se tra colleghi c’è cordialità posso permettermi di chiedere loro aiuto e sostegno nei momenti di difficoltà. Diversamente, anche questo aspetto diventerà un’altra possibile fonte di burnout.
Inoltre succede che, talvolta, chi lavora a contatto con la sofferenza, con i problemi della gente, non riceva complimenti, feedback positivi quando fa qualcosa di giusto (molti pensano che in fondo un infermiere che lavora bene ha semplicemente fatto il suo lavoro), ma non appena commette un errore, ha il dito puntato contro e riceve critiche e commenti negativi. Quindi è importante che chi fa questo tipo di lavoro richieda ai propri assistiti un feedback rispetto al proprio operato, in modo da aumentare il più possibile le occasioni di ricevere complimenti e apprezzamenti e quindi di sentirsi più gratificati professionalmente.
Queste sono alcune delle strategie che, se Stefania metterà in atto, potranno portarla a ridurre sensibilmente il livello di burnout sperimentato.