Un percorso di consulenza psicologica deve avere risultati visibili. Non ci si può accontentare del fatto che “sembra che la persona stia meglio”, “mi sembra più sereno”. I risultati devono essere osservabili. Tanto più se si tratta di bambini.
Ultimamente mi è capitato di seguire Matteo, un bambino di 8 anni (le informazioni che possono renderlo riconoscibile sono state eliminate) che aveva molta difficoltà nel socializzare con i compagni di classe. All’intervallo a scuola stava seduto da solo al suo banco e in più non voleva andare a giocare all’oratorio, si rifiutava di partecipare alla feste di compleanno e, in generale, non vedeva di buon occhio tutte le situazioni di interazione sociale.
I genitori erano piuttosto preoccupati perché, se sembrava che inizialmente Matteo fosse “sereno” in questa situazione, col passare del tempo anche gli altri compagni o amici, probabilmente pensando che lui preferisse starsene da solo, avevano iniziato ad escluderlo, e non gli chiedevano più se volesse partecipare a qualche gioco con loro.
Matteo aveva iniziato quindi a soffrire molto di questa situazione perché si sentiva escluso e invisibile agli occhi degli altri bambini.
Quando ho iniziato a lavorare con Matteo, il primo passo è stato cercare di capire come vivesse lui la situazione e cosa lo spaventasse nell’idea di giocare con gli altri bambini. Tramite il colloquio è stato quindi possibile comprendere come alcuni giochi di tipo competitivo basati su abilità di tipo fisico a lui non piacessero mentre altri giochi più “tranquilli” come ad esempio giochi di società o giochi di carte fossero a lui più congeniali.
Il problema era che sia all’intervallo che fuori scuola, i giochi che facevano gli altri bambini erano più frequentemente giochi del primo tipo, cioè giochi di movimento e agilità.
In secondo luogo temeva molto il possibile rifiuto da parte degli altri cioè credeva che se avesse chiesto di poter giocare gli sarebbe stato risposto di no.
Il secondo passo è stato quindi di accogliere le emozioni del bambino, validarle e dimostragli che ero lì per comprenderlo e aiutarlo e non per sgridarlo o giudicarlo.
Siamo passati quindi a analizzare i suoi pensieri mettendoli alla prova. Abbiamo fatto finta di essere dei detective e di andare alla ricerca con una lente di ingradimento immaginaria delle prove della correttezza di questi pensieri concludendo che non c’era alcuna certezza del fatto che se avesse chiesto agli altri bambini di poter giocare questi avrebbero risposto negativamente.
Il terzo passo è stato individuare all’interno del gruppo classe quei compagni che solitamente non facevano giochi eccessivamente vivaci scoprendo che in effetti non tutti i bambini amassero correre o fare giochi di movimento e azione.
Il quarto passo è stato chiedere a Matteo di portare da casa un gioco di carte che a lui piacesse e che si potesse fare nel piccolo spazio dell’intervallo.
Matteo ha acconsentito e ha portato da casa uno dei suoi giochi di carte preferiti e ha chiesto ad una compagna piuttosto simpatica e tranquilla se volesse giocare con lui. Con suo grande stupore la bambina ha acconsentito.
Ben presto a questa compagna se ne sono aggiunti altri, accomunati dalla preferenza per giochi tranquilli e non fisici.
Nell’arco di qualche settimana l’intervallo ha cambiato aspetto.
Immagine da blogscuol2.wordpress.com |
Ho quindi deciso, previo accordo con i genitori, di contattare una tra le insegnanti di Matteo che mi ha confermato che effettivamente, da un po’ di tempo a quella parte, vedeva il bambino “più inserito” nel gruppo classe. Le ho quindi suggerito di rinforzare verbalmente il bambino (tramite lodi, incoraggiamenti e complimenti) ogni qualvolta l’avesse visto interagire con gli altri. Inoltre l’insegnante ha proposto di mettere come compagno di banco per Matteo un bambino solare ed estroverso in grado di coinvolgerlo e di comunicare con lui in una maniera diretta e positiva.
Sono passati alcuni mesi da quando vedo Matteo e devo dire che concretamente la situazione a scuola per lui è davvero cambiata con grande soddisfazione sua, dei suoi genitori e anche mia.